Nella sua autobiografia, recentemente pubblicata, Barry Hearn non tralascia di certo lo snooker. Senza dubbi l’incontro con un giovane Steve Davis cambiò la vita all’allora proprietario delle sale Lucania. Ecco la seconda parte dell’estratto.
Dopo quella volta iniziai a scommettere su Steve in ogni singolo incontro e incoraggiai tutta quella che prese il nome di “Romford Mob” a fare lo stesso. Poco tempo dopo gli diedero il soprannome di “Golden Nugget”, la pepita. E in quel periodo Steve era implacabile. Qualche mese prima, Steve mi telefonò ed era in uno stato di grande eccitazione, cosa alquanto rara.
Aveva realizzato il primo 147, quindici rosse, quindici nere e tutti i colori, mentre si allenava al Working Men’s Club di Plumstead. Da quel momento non ebbi più dubbi sul suo gioco di serie. Ma il suo più grande talento era il sapere controllare ogni avversario. Davis era dotato di un gioco difensivo di primo ordine e ogni volta che un avversario commetteva un errore era in grado di ripulire il tavolo con spietatezza.
Steve aveva affermato che godeva nel “togliere l’ossigeno” agli altri giocatori. Mi piacque sin da subito il suo approccio: prendere il cervello degli avversari, chiuderlo in una scatoletta e poi lasciarlo su una mensola.
L’unica cosa che non aveva ancora era l’esperienza, così decisi di organizzare per Steve una serie di incontri contro i migliori giocatori al mondo, scegliendo come sede di gioco quella che stava diventando la famosa Romford Mathcroom. Negli anni Steve affrontò John Spencer, Alex Higgins, Ray Reardon, Cliff Thorburn, Jimmy White e tanti altri. Nel 1977 sconfisse Spencer, allora campione del mondo in carica, con il punteggio di 5-1, battè Higgins 5-3 e poi ebbe la meglio su Reardon 14-11 in un incontro sulle due giornate.
Per convincere i giocatori più forti dovetti ovviamente investire parecchio, viste le cifre che mi chiedevano, e soltanto marginalmente riuscii a recuperare i soldi vendendo biglietti. Una volta Steve affrontò Higgins in un fantastico incontro al meglio delle 65 partite, giocato in quattro giorni. Davis vinse 33-23. Quelle furono tra le notti più belle della mia vita.
Naturalmente in tutte queste occasioni avevo scommesso su Steve e raramente avevo perso. Steve ancora oggi non scommette mai sulle partite. All’epoca era felice di ricevere 25 sterline a partita più un bonus in caso di vittoria e di mangiare cinese o indiano alla fine della serata. Era ben consapevole che l’esperienza che stava accumulando era molto preziosa. Steve era un ragazzo innocente che condivideva ancora la camera con suo fratello più piccolo di sette anni ma al tavolo aveva già sviluppato un istinto da killer.
Quando Steve era ancora un dilettante, riceveva sette o dieci punti a frame. Poi passò tra i professionisti e il vantaggio non era più necessario. A Romford Steve aveva tutto il pubblico dalla sua parte e conosceva il tavolo alla perfezione, quindi era in pratica imbattibile. Ce ne andavamo anche in giro per il paese per affrontare i più forti per soldi. Una volta sfidò Jimmy White a Manchester e sia io che tutti i ragazzi di Romford iniziammo a puntare forte su Steve. Avevo già piazzato scommesse per migliaia di sterline quando Steve arrivò in condizioni pietose. Aveva una brutta influenza e quasi non si reggeva in piedi, merda! Jimmy lo distrusse e perdemmo un sacco di soldi, ma fu una delle poche serate storte di quel periodo.
Non vedevo l’ora che Steve diventasse professionista. Ci volle del tempo perché suo padre Bill voleva prima che vincesse tutti i titoli a livello dilettantistico, incluso il Campionato del Mondo di categoria. Steve invece voleva soltanto giocare a snooker. Nel 1978 lo accompagnai a Blackpool per il campionato a coppie del Regno Unito. Steve e Tony Meo vinsero così facilmente che quasi non ci credevo. Batterono i propri rivali in semifinale e finale con il punteggio di 6-0.
Eravamo al settimo cielo e proprio in quell’occasione Steve firmò sul retro di un lampione l’unico contratto che gli abbia mai offerto in vita mia. La fiducia tra di noi continuava a crescere e una stretta di mano era più che sufficiente per trovare un accordo. Eravamo diventati una squadra, due bambini che erano cresciuti nelle case popolari alla conquista del mondo: Steve con il suo talento, io con le mie doti nello sponsorizzarlo. Regalai a Steve la sua prima macchina: una Maxi dal valore di 200 sterline.
Il gioco a livello professionistico all’epoca era ancora un affare per pochi, così telefonai Ray Reardon, che aveva grande influenza sulla WPBSA. Spiegai a Ray che Steve voleva diventare professionista ma soltanto se la sua candidatura fosse spalleggiata da lui in persona. Le mie parole funzionarono alla perfezione. Ray prese a cuore la causa di Steve e lo propose con la sua benedizione. Adesso eravamo parte del gioco.