Intervista a Luca Brecel, finalista dello scorso UK Championship e attuale numero 11 al mondo. Dalle sue prime steccate in Sardegna fino all’esordio da record a Sheffield, il belga parla della sua carriera e della sua filosofia di gioco. Senza tralasciare una promessa fatta a tutti gli appasionati italiani…

Lo snooker in Belgio ha solide radici, che affondano addirittura nei primi anni ’70. Nonostante la grande tradizione nella carambola a tre sponde, il gioco è sempre stato molto seguito, soprattutto nelle Fiandre. Oltre al legame storico con la Aramith, ancora oggi casa produttrice delle bilie usate sul Tour, l’impatto della televisione è stato senza dubbi determinante. Il boom dello snooker nel Regno Unito negli anni ’80 non ha lasciato indifferente il paese e la sua popolarità è cresciuta a dismisura. Poco più di un decennio dopo c’è stata la definitiva e concreta esplosione, con il numero di club e tavoli che è cresciuto esponenzialmente.

Tanti sono stati i giocatori che da quel momento hanno provato a farsi strada tra i professionisti, pur senza lasciare un segno tangibile. Gli appassionati di lungo corso forse ricorderanno Steve Lemmens, talentuso giocatore che tragicamente si tolse la vita nel 2006 a soli 45 anni, o Patrick Delsemme, sconfitto in finale da Ronnie O’Sullivan al campionato del mondo dilettanti U-21 nel 1991. Qualche anno dopo Bjorn Haneveer, riuscito ad arrivare sino alla posizione 53 della classifica mondiale, divenne di gran lunga il belga di maggior successo sul circuito.

L’opinione generale cambiò radicalmente quando un ragazzino timido dotato di classe sopraffina e di uno snooker brillante salì alla ribalta delle scene. Luca Brecel sa metterti a tuo agio in pochi secondi. Non sembra affatto preoccupato di dover partire nel giro di qualche ora, direzione Wolverhampton, per le qualificazioni del Welsh Open. La calma è senza dubbi una delle caratteristiche che lo contraddistingue. Dalle sue parole si percepisce soltanto velatamente la sua grande passione per lo snooker, nascosta da una flemma tipicamente belga. Due anime contrapposte che convivono pacificamente. Luca non vive il gioco come un’ossessione, ha imparato a conoscere i suoi limiti e si gode un viaggio che probabilmente gli riserverà ancora molte soddisfazioni.

Come è iniziato il percorso che lo ha portato ad essere un affermato giocatore di snooker? Bisogna ritornare indietro di quasi vent’anni e spostarsi in Italia, paese con cui Brecel ha ancora oggi un legame molto stretto. Luca ricorda come se fosse ieri le lunghe giornate trascorse in auto per raggiungere lo Stivale insieme a mamma Mirella e papà Carlo. Dal perfetto accento con cui pronuncia i nomi delle città, si capisce anche una certa familiarità con la nostra lingua.

“La prima volta che ho giocato a biliardo è stata proprio in Italia, durante una vacanza in Sardegna con la mia famiglia. Mio padre mi portò in una sala giochi (in italiano, ndr) e lì si è subito accorto che avevo una certa predisposizione per il gioco. Come spesso capita tutto è iniziato per divertimento, poi le cose sono diventate un po’ più serie.”

Qualcuno si ricorderà di una serie di video, caricati su YouTube, in cui un giovanissimo Brecel faceva faville al tavolo quasi senza sforzarsi. A quattordici anni il piccolo-grande Luca aveva già realizzato trenta 147 in allenamento, con il primo centone (122) che era arrivato ad appena dodici anni. In Belgio Brecel è stato sin da subito l’incubo di ogni amatore e non era inusuale vederlo spostarsi dalla nativa Dilsen-Stokkem per sfidare avversari di maggior caratura della nazione. A quindici anni era già campione nazionale Seniors, quando sconfisse il ben più titolato Haneveer a Mol.

“Quando mi sono reso conto di potercela fare? Quando a San Pietroburgo nel 2009 vinsi il Campionato Europeo Under-19. Dopo quel successo pensai: “Se ci sono riuscito a quattordici anni, allora posso farcela per davvero.” Avrei dovuto già ricevere una wild-card per giocare tra i professionisti, ma ho dovuto aspettare altri due anni prima di poter confrontarmi con i migliori nei tornei più importanti.”

Partendo da queste premesse, molti a questo punto si sarebbero aspettati risultati di altro tipo dal belga. Quando nel 2012 divenne il più giovane di sempre a qualificarsi al Crucible Theatre a soli diciassette anni, tanti avevano visto in Luca un possibile dominatore delle classifiche e potenziale vincitore dei titoli più importanti.

In questo tipo di ragionamenti però si tende sempre a non considerare tanti, troppi fattori che possono influire su un essere umano. Quando tutti si aspettano il massimo da te, sin da quando sei poco più di un bambino, bisogna saper costruirsi una corazza. Luca ha imparato la lezione sulla sua pelle e oggi sembra essere pienamente consapevole dei suoi punti di forza e dei suoi limiti.

“Battere il record che apparteneva a un giocatore come Stephen Hendry mi ha dato una carica incredibile. Allo stesso tempi però mi sono dovuto abituare a dover gestire la pressione, perché tutti ancora oggi si aspettano molto da me. Non è stato affatto facile. Tanti giocatori riescono a percepire una scintilla, un click, che ti fa pensare: “Posso vincere il torneo.” Per me non è così. Quest’anno prima dello UK Championship mi sentivo bene, mi ero allenato a sufficienza, ma non mi aspettavo minimamente di ottenere la finale. Ragiono sempre allo stesso modo, un match per volta. Scendo in sala e cerco di fare del mio meglio, tutto qui.”

Luca Brecel all’esordio al Crucible nell’edizione 2012. Fu sconfitto al primo turno da Stephen Maguire con il punteggio di 10-5.

Poche volte noi spettatori abbiamo assistito a uno spettacolo come quello messo in mostra in semifinale lo scorso dicembre al Barbican Centre di York. Nel match contro Kyren Wilson, Brecel ha giocato quella che può essere considerata una partita perfetta, con percentuali irreali in tutti i dipartimenti del gioco. Un incontro che potrebbe essere considerato il bigliettino da visita per un grande campione. Luca invece non sembra essere della stessa opinione: “Se devo scegliere il torneo in cui ho giocato meglio nella mia carriera, direi senza dubbi il China Championship 2019. Negli ottavi e nei quarti ho espresso probabilmente il mio livello più alto al tavolo, poi in semifinale Neil Robertson mi ha rovinato la festa. Nella partita contro Wilson ho giocato bene, ma sono consapevole di poter fare ancora meglio.”

Si è spesso discusso di quanto possa essere determinante il fattore mentale nello snooker e oggi più che mai i giocatori cercano di aprirsi e trovare un appoggio per superare le difficoltà che sono parte intrinseca del gioco. Brecel ha dovuto affrontare svariati momenti complessi nella sua già lunga carriera e più di una volta gli è stato puntato contro il dito per non essere riuscito a capitalizzare le occasioni garantitegli dal suo indiscutibile talento.

“La verità è che pochi sport sono difficili come lo snooker. Se commetti un errore, devi mettere in preventivo che potrai restare seduto fino al tiro d’apertura del frame successivo. Bisogna saper accettare il fatto che il tuo avversario può realizzare una serie vincente senza che tu possa fare assolutamente nulla. Nelle freccette, ad esempio, puoi sbagliare ma dopo pochi secondi devi essere pronto a reagire. Nello snooker molte volte ciò non è possibile. Ognuno di noi è diverso, per quello è difficile rendersi conto quanto influisca l’aspetto mentale Alcuni giocatori sono completamente diversi quando non stanno giocando un match. Michael Holt, per fare un altro esempio, è invece la stessa identica persona sia al tavolo che nella vita di tutti i giorni, solare ed espansivo. Io invece cerco di essere sempre calmo e rilassato.”

Brecel è diventato il primo giocatore dell’Europa continentale a raggiungere la finale in un torneo della cosiddetta Triple Crown, soltanto pochi mesi fa. Nessuno più di lui può dunque essere ambasciatore per la promozione dello snooker in paesi “non tradizionali”, visto l’indubbio fascino che il gioco porta con sé.

“Credo che lo snooker abbia un potenziale enorme. Lo so, a primo impatto può risultare complesso, ma appena si riesce a comprenderne le sfaccettature, ti appassiona come pochi altri sport. Quando sono a casa e di sfuggita mi capita di vedere in televisione una partita, non riesco mai a guardare solo qualche tiro. Alla fine mi ritrovo sempre a dover finire l’intero match. Ci sono tante possibilità di vedere crescere il gioco in paesi in cui non c’è al momento grande tradizione. A volte mi capita ancora di imbattermi in persone che mi chiedono di cosa mi occupo nella vita oltre a giocare a snooker… Questo può far capire quanto ancora c’è da lavorare.”

E la situazione in Italia?

“Nello specifico non esiste una formula certa per rendere più popolare lo snooker in un paese come il vostro. Non è detto che se dovesse un giorno aprirsi un’accademia moderna e professionale questo significhi automaticamente una crescita del movimento. In Belgio mi sono reso conto che i miei risultati, in negativo o in positivo, hanno sempre una grande risonanza mediatica. Se lo snooker è sui giornali o in tv quotidianamente le possibilità che un ragazzino impugni una stecca aumentano sensibilmente. Avere una struttura alle spalle è ovviamente importante, ma secondo me è determinante avere un giocatore importante che faccia da traino. Ovviamente non lo si può fare schioccando le dita, c’è bisogno di tempo.”

La soluzione può essere più immediata di quello che sembra, almeno per me. Tento l’azzardo e con aria quasi indifferente, chiedo: “Luca, ma se iniziassi a giocare per l’Italia? Hai tutte le carte in regola per farlo, in fin dei conti.” La risposta, tutto sommato, potevo aspettarmela: “Perché no? Sarei molto contento di farlo, forse ancor di più lo sarebbe la mia famiglia.”. Probabilmente non accadrà, poi ripenso al tatuaggio che Luca sfoggia sulle nocche: “Free Bird”. Uccello libero. Un cambio di nazionalità, in fin dei conti, non è poi chissà che…

La carriera di Luca Brecel in dettaglio su CueTracker

Sull'autore

Marco Staiano

Sogni, speranze e illusioni celati in ventidue bilie colorate.

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