Nei giorni in cui lo snooker era ancora agli albori, Pat Houlihan era uno “spaccone”, fedele a saldi principi. Girovagava tutto il paese fingendo di essere un giocatore peggiore di quello che realmente era, provocando sollievo a coloro che avevano troppi soldi nelle loro tasche, svuotandogliele.
Per accedere alla sala biliardo basta salire soltanto pochi gradini. Al piano di sotto c’è un negozio di sartoria, Burtons. Senza informazioni dettagliate, probabilmente nessuno se ne accorgerebbe mai. Si potrebbe pensare che le allegre bancarelle del mercatino di Lewisham High Street siano le uniche attrazioni della zona.
Gli abitanti di questo piccolo microcosmo passano inosservati ai più e per loro il trambusto di High Street è come se provenisse da un altro pianeta. Si suona il campanello e la porta si apre quasi in automatico, anche se non c’è alcun marchingegno extraterrestre. Le persone che stanno vicino alla porta, semplicemente, ti aprono.
Pat Houlihan mi viene incontro, in mano una tazza di tè che ha appena preso dal bar. In lontananza qualche urlo rauco di alcuni ragazzi che stanno giocando. Pat sorride in maniera forzata, un ometto dall’aspetto formale in giacca di ottima fattura e pesanti occhiali di corno. Nei giorni in cui lo snooker era ancora agli albori e pochi ne conoscevano l’esistenza, Houlihan era uno “spaccone”, fedele a saldi principi. Girovagava tutto il paese fingendo di essere un giocatore peggiore di quello che realmente era, provocando sollievo a coloro che avevano troppi soldi nelle loro tasche, svuotandogliele.
Ciò ha funzionato, purtroppo per lui, soltanto fin quando non è diventato famoso in tutto il Regno Unito. Pat Houlihan è ancora oggi dotato di una delle più rare qualità in un giocatore, la classe. “Dopo un po’ era prevedibile che tutti mi conoscessero. Era soltanto questione di tempo. Allora appena entravo in sala subito mi mettevano contro il campione locale. Quando iniziai a diventare ancora più famoso, semplificai le cose. Entravo e chiedevo di giocare contro il più forte.”
Ironicamente scruta la sala da snooker, con il suo soffitto basso, le piastrelle nuove e i pannelli di legno. “Un tempo questa era una bettola. Il nuovo proprietario adesso sta rifacendo i panni a tutti i tavoli. Prima il pavimento era di legno e se non stavi attento potevi facilmente cadere, visto che tante assi non erano al loro posto”, dice Pat guardando la nuova moquette marrone. “Adesso il posto non è affatto male.”
Ma per lui ormai l’affetto per la sala è ormai come scomparso, come gli anni d’oro del suo snooker. “Era incredibile. Tutti i ragazzi della zona venivano qui e scommettevano, provando a fare soldi. C’era sempre gente che entrava per giocare. Giocatori mediocri o forti, con le tasche vuote o piene. Giravano così tanti soldi che era normale veder scommettere 200 o 300 sterline a partita. Oggi le cose sono ben diverse e l’atmosfera è molto più rilassata. Ma quante risate che mi sono fatto in quegli anni! Potevi guadagnare anche senza giocare, ti bastava segnare il punteggio per gli altri. C’era gente che viveva così all’epoca, se lo pensi oggi è assurdo. Questo ti fa capire quanti soldi giravano all’epoca.”
E in quell’epoca le sale erano aperte ventiquattro ore al giorno, dalle dieci del mattino alle nove del giorno successivo, con una sola ora dedicata alle pulizie, giusto per buttare via le bottiglie vuote, svuotare i posaceneri, dare una veloce ripassata ai panni e pulire un qualche liquido non identificato rimasto attaccato al pavimento. E poi la giostra ripartiva.
“C’era un club ad ovest dove eri sempre il benvenuto per una partita. Ovviamente per soldi. Le persone entravano con la loro stecca alla ricerca d’azione. C’era più movimento la notte, ma anche di giorno la sala era sempre piena. Si giocava su tutti i tavoli, tutta la notte. Una volta mi svegliarono alle tre di notte per andare a giocare una partita. All’epoca giocavo bene”, dice Pat con un velo di tristezza.
“Ero sempre in grado di esprimere un gran gioco. Giocavo sempre più partite e questo mi rodava per bene. Un allenamento perfetto. So che ancora oggi potrei stare allo stesso livello dei professionisti più forti, se solo avessi le giuste opportunità.”
Pat era davvero uno dei migliori negli anni ’60, il più forte dilettante di Londra quando i dilettanti a snooker giocavano in maniera divina. Mentre il campionato del mondo professionistico era ben saldo nelle mani di John Pulman, che non si era preso la briga di difenderlo dal 1957 al 1964, il gioco dilettantistico fioriva.
Il sangue fioccava nell’arena degli amateur, dove a contendersi il successo c’erano giocatori del calibro di Ray Reardon, John Spencer, Gary Owen, Cliff Wilson e Ron Gross. L’anno migliore di Houlihan è stato il 1965.
“Nel ’65 vinsi quasi tutto”, ricorda Pat. “Nella finale del torneo All-England sconfissi 11-3 John Spencer, al Blackpool Tower Circus. In più feci un sacco di soldi con le scommesse. Battevo sempre John a quel tempo. Dopo che lo sconfissi, passò professionista e nel 1969 vinse il campionato del mondo. Lo affrontai in un Challenge Match poco dopo il suo trionfo e vinsi ancora una volta.”
Spencer conquistò poi il titolo mondiale per tre volte e divenne una delle stelle del gioco moderno. La carriera di Pat Houlihan invece non si distaccò mai dalla periferia di Londra, dove le sale non erano solo frequentate da appassionati di snooker e scommettitori, ma anche gangster, truffatori seriali e persone che non ti avrebbero detto neanche per un milione come si guadagnavano da vivere.
“Ce ne erano di club malfamati. Posti in cui si riunivano i cosiddetti “emarginati dalla società”. Anche i gemelli Kray, i gangster più famosi d’Inghilterra, avevano una sala da snooker, un posto ad est. Ci ho giocato tante volte. Tutti sapevano chi erano i frequentatori. Però non succedevano mai cose strane, bastava soltanto giocare a snooker e pagare il tavolo.”
In questa semi-oscurità, in questo mondo misterioso, Pat Houlihan era un nome che spiccava. Patsy aveva classe. “Ero una vera stella all’epoca. Una volta ricordo che giocai alla Borroughs Hall a Soho Square. Ebbero bisogno di due macchine della polizia per tenere a bada la gente. Dovetti passare a forza tra il pubblico. Riuscivo sempre a guadagnare bei soldi all’epoca. Se non ne facevo a Londra, mi spostavo. Una volta mi suggerirono di andare nel Jersey, ma appena arrivai mi resi conto che mi conoscevano tutti. Non c’era nulla per me lì. Ma riuscivo sempre a godermi la vita all’epoca. Alla fine si finiva sempre al pub. Giocavi a snooker nel pomeriggio e la sera ti godevi un bel drink.”
Quella vita – viaggi, scommesse, match per soldi, club malfamati – era l’unica che Pat Houlihan conosceva e riusciva a guadagnare godendosela. Alla fine però è stato condannato ad essa per sempre. Oggi, dove snooker è sinonimo di grandi case, grandi auto e grandi compensi per i top player, Pat Houlihan continua a giocare match per soldi. Combatte con le unghie e con i denti per vincere match di qualificazione sul circuito professionistico. La ragione del perché ciò accade va ritrovata indietro nel tempo, nello specifico negli anni ’60, quando era al picco della sua forma.
Joe Davis aveva partecipato e vinto la sua ultima edizione del campionato del mondo nel 1946, ma nonostante ciò, controllava il gioco tra i professionisti. A quei tempi ce ne erano soltanto sei, una decade in cui l’interesse per lo snooker professionistico è stato quasi nullo. C’erano Joe e suo fratello Fred, che contava sugli introiti di una fattoria e non si affidava soltanto allo snooker. C’era Rex Williams, i cui genitori possedevano una grossa stamperia, e poi Jackie Rea, che era diventato un comico per poter sopravvivere. Joh Pulman e Kingsley Kinnersley riuscivano a guadagnare qualcosa facendo esibizioni, pur se su piccola scala. In questo clima economico, Joe Davis controllava ancora tutto ciò che accadeva nello snooker.
E Joe Davis, la cui condizione di invincibilità non era stata mai messa in dubbio in quindici anni, sicuro dal punto di vista economico dopo una carriera di successo, decise che nello snooker non ci doveva essere posto per nuovi arrivati, soprattutto per qualcuno come Pat Houlihan, famoso per giocare match per soldi.
Joe avrebbe apprezzato il gioco negli anni ’80, dove l’immagine è stata fondamentale e i giocatori non dovevano soltanto saper giocare a snooker, ma anche comportarsi da gentiluomini. Spietati nella loro voglia di vincere, ma rispettosi e di buone maniere allo stesso tempo. Pat Houlihan faceva parte di un mondo diverso, molto più pericoloso, e quindi pagò dazio. “Il circuito era in pratica chiuso. Joe Davis era un despota. La sua parola era ordine. Se ti diceva sì o no, era un giudizio definitivo. Non c’era alcun modo per potergli far cambiare idea.”
Joe Davis disse di no a Pat, che dovette aspettare fino al 1970 per passare professionista. Ma a quel tempo era troppo tardi. Il suo gioco non era più al meglio. Non sarebbe mai riuscito a lasciare il segno nel gioco professionistico come aveva fatto tra i dilettanti e adesso, a sole due settimane di distanza dal campionato del mondo, Houlihan è tormentato da un problema agli occhi ed è preoccupato perché non è sicuro di riuscire a mettere insieme la cifra per andare a giocare a Stockport.
Lo snooker, come tanti altri sport, è crudele verso coloro che sono nelle retrovie. Pat Houlihan, dopo aver giocato per tutta la vita, adesso stenta a guadagnarsi da vivere, vittima della devozione del pubblico verso i media – se non lo vedo in televisione, non è successo per davvero. Persone come Pat esistono soltanto per chi di snooker ne capisce. Un appassionato medio non sa neanche il suo nome. Anche coloro che non sanno come si gioca, vogliono vedere il vincente. Vogliono Steve Davis, non Pat Houlihan, anche se quest’ultimo realizzava centoni in quattro minuti prima che nessuno avesse mai sentito nominare Alex “The Hurricane” Higgins.
Pat adesso è serio e sta pensando a Stockport e ad un posto al Crucible Theatre di Sheffield. Spenderà 150 sterline in viaggio e albergo, ma se perderà non recupererà neanche un centesimo. “Qualcuno altro invece viene pagato 1250 sterline soltanto per entrare in sala. Questa cosa deve cambiare. SI dovrebbe togliere qualche migliaio di sterline dal premio del vincitore e distribuirle a coloro che giocano i turni preliminari. L’anno scorso bisognava vincere cinque match per poter affrontare un giocatore in top-8. Quest’anno va un po’ meglio, hai bisogno di due-tre vittorie. Ma se affronti giocatori come Jim Meadowcroft o Willie Thorne nelle qualificazioni è possibile che tu perda.”
“Il mio match più difficile? Contro Ray Reardon nel 1965, l’ultima volta in cui l’ho affrontato. Prima che battessi Spencer in finale al campionato dilettanti inglese. Reardon era avanti 5-1, gli bastava un solo frame. Ne vinsi cinque di fila. All’epoca Ray faceva il poliziotto, mi disse che sarebbe stato giusto se mi avessero arrestato.”
La lampada dona al viso di Houlihan un pallora verdaceo innaturale. Alle nostre spalle ci sono giocatori che si allenano, ognuno immerso nel proprio mondo, magari speranzoso che un giorno lo snooker gli porti fama e fortuna. Giocare per avere un futuro. “Non ho paura di nessuno lì a Stockport. Questo una volta era il mio punto forte. Ma adesso non più. Ho perso contro giocatori che prima avrei battuto facilmente. Quando ero giovane era molto più facile. Ero come Steve Davis, glaciale. Mi piaceva giocare. Ero veloce al tavolo. Avevo classe. Quella ancora non l’ho persa. John Spencer è passato da dilettante a campione del mondo, come Ray Reardon. Gary Owen da dilettante a finalista al campionato del mondo. Adesso che ci penso, mi faccio una risata.“
“Se avessi vissuto al Nord, forse avrei avuto più chance. Jackie Rea mi ha detto che se Pat Houlihan avesse vissuto dalle sue parti, non avrebbe avuto più lavoro. Perché avevo classe. Avevo classe.”