
È sottile la linea che separa la gloria dall’oblio. La storia di Walter Donaldson lo dimostra. Le gesta dimenticate del campione scozzese.
29 aprile 1990. Un ragazzino dalla faccia vispa, al Crucible Theater di Sheffield, ha realizzato il suo sogno. Che poi è il sogno di qualunque giocatore di snooker. Stephen Hendry, all’età di 21 anni e 106 giorni, diventa campione del mondo. Già dopo le semifinali si era assicurato la posizione numero uno in classifica. È un giorno trionfale per la Scozia intera. Sarà l’inizio di un’epoca. Hendry sarà il dominatore di un’intera decade, vincendo sette titoli, un record. Nel mentre già scintillava la stella di John Higgins, sfavillante ancora oggi . Anche Graeme Dott qualche tempo dopo darà il suo contributo, vincendo un mondiale e raggiungendo altre due finali. Nelle ultime trenta edizioni del campionato del mondo, ben undici sono state vinte da giocatori scozzesi.
Ma prima di questo dominio, crudelmente dimenticato dalla storia, a tenere alta la bandiera di Sant’Andrea c’è stato un uomo dal carattere spigoloso, un vero scozzese: Walter Donaldson. Il suo nome è stato storpiato nei libri, la sua faccia tagliata nelle fotografie e qualcuno, colpevolmente, si è dimenticato di lui nel ’90, ignorando i titoli di campione del mondo conquistati nel 1947 e nel 1950.
La carriera di Donaldson è stata complessa ed affascinante, e nelle sue contraddizioni, merita un posto nel folklore dello snooker.
Una storia emblematica, che ci dimostra ancora una volta quanto sia esile la linea di demarcazione tra la gloria e l’oblio.
Walter Donaldson nacque il 2 febbraio 1907 a Coatbridge, non lontano da Glasgow. Soprannominata “Il Borgo d’Acciaio”, possedeva all’epoca il più alto numero di altoforni nel Regno Unito e l’aria era letteralmente corrosa da fumi tossici. Coatbridge all’epoca non era una città per tutti, e sicuramente ebbe il merito di temprare il giovane Walter.
Suo padre era proprietario di diverse sale biliardo, in cui all’epoca il gioco predominante era l’English Billiard. Il signor Donaldson vietò categoricamente al figlio di avvicinarsi ai tavoli, nonostante egli fosse attratto in maniera quasi morbosa dal gioco. Mr. Alexander ben presto fu costretto a cambiare idea e alla tenera età di cinque anni consegnò al piccolo Walter una stecca e poi gli disse: “Va bene, figlio mio, gioca. Ma voglio vederti diventare un campione!”
Nonostante il movimento scozzese fosse in crescita all’epoca, per dimostrare le sue capacità, all’età di quindici anni, Donaldson raggiunse Manchester per giocare la prima edizione del torneo under-16 di English Billiards. Vinse e la decisione di salire su quel treno cambiò per sempre la sua vita.
Walter decise di trasferirsi in Inghilterra e a Chesterfield conoscerà una famiglia molto speciale: i Davis. Fred Davis sarà il suo grande rivale, affrontato in ben otto finali del campionato del mondo, Joe Davis invece la causa per cui ancora oggi il suo nome è finito nel dimenticatoio.
A Chesterfield iniziò a lavorare proprio per la famiglia Davis, gestendo diverse sale biliardo. Donaldson si sottoponeva nel tempo libero a sessioni di allenamento sfibranti, giocando per ore senza mai concedersi una pausa.
Ben presto si rese conto che l’English Billiard aveva fatto il suo tempo: lo snooker era il futuro. A causa della sua indole perfezionista, Donaldson decise di iscriversi al campionato del mondo ben sette anni dopo la prima edizione, nel 1933. Dotato di una steccata formidabile, fu il prototipo di giocatore che in inglese viene chiamato “grinder”: pochi fronzoli, un gioco di difesa asfissiante, zero rischi in imbucate non sicure e una capacità di prim’ordine nel gioco dalla distanza. Giunto in semifinale, le speranze di Donaldson furono annientate da Joe Davis, che lo sconfisse con il sonoro punteggio di 13-1. Walter fu così demoralizzato dall’esperienza che decise di lavorare sul suo gioco per ben sei anni prima di ritornare alle competizioni.
Ma nel mentre sul mondo intero incombeva uno spettro più inquietante: la guerra. Walter Donaldson servì come sergente della Quarta Divisione Indiana e spesso si ritrovò in prima linea, combattendo in Nord Africa, Grecia e Italia.
Quando fu congedato nel 1946, aveva 39 anni e non aveva toccato una stecca per più di sei anni. Nel primo mondiale disputato dopo la fine della guerra, Joe Davis sconfisse Horace Lindrum e si aggiudicò il quindicesimo e ultimo titolo di campione, prima di ritirarsi dal mondiale.
In pochi avrebbero scommesso su Donaldson nel 1947. Fred Davis, il fratello minore di Joe, già finalista, e il brillante australiano Lindrum erano i grandi favoriti dell’edizione. Tutti avevano dimenticato la grande determinazione dello scozzese. Walter si rintanò in casa di un amico a Belvedere, nel Kent, in cui per più di un anno si allenò in maniera scrupolosa, quasi ossessiva. Arrivato alla semifinale contro Lindrum, fu per il pubblico un vero e proprio shock quando Donaldson vinse 39-32.
Giunti alla finale, ancor di più dopo ciò che era accaduto, nessuno avrebbe puntato una sterlina su Donaldson. Per tutti era stato un colpo di fortuna. Joe Davis era sicuro che il trofeo sarebbe ritornato in famiglia. Fred era pronto a dimostrare la sua superiorità. In pochi avevano fatto i conti con l’uomo che lontano dalle luci della ribalta, impegnato in sessioni d’allenamento estenuanti, era tornato a mostrare di che pasta fosse fatto. Nelle due settimane alla Leicester Square Hall, Donaldson aveva giocato il suo miglior snooker in carriera, portando a casa il successo 82-63.
Lo scozzese aveva studiato bene le debolezze del suo avversario ed adottò una tattica che ben descrive il suo stile di gioco: break di 30, 40 punti e poi subito difesa nel baulk. Davis si dimostrò parecchio impaziente e sbagliò spesso imbucate non garantite. Donaldson lo punì anche grazie ad un gioco dalla distanza chirurgico. C’era poco di artistico o spettacolare nel suo snooker, ma una cosa era innegabile: era tremendamente efficace. La promessa era stata mantenuta. Il settantenne Alexander scoppiò in lacrime dalla gioia quando suo figlio ritornò trionfate in Scozia.
La rivista “The Billiard Player” dopo la vittoria definì Donaldson “Il Grande Imperturbabile”, ma c’era qualcosa che mancava allo scozzese: sconfiggere il migliore. Era campione del mondo ma poteva a tutti gli effetti considerarsi il numero uno? Joe Davis, nonostante avesse deciso di ritirarsi dal campionato del mondo, continuava a giocare e, a detta di esperti e tifosi, era nel miglior momento di forma della carriera.
Al trionfo di Donaldson nel 1946 mancava qualcosa e Walter era considerato un re che indossava una corona di carta. Ovviamente lo scozzese non si tirò indietro e decise di affrontare Davis, ma venne sconfitto 49-42. Nel 1948 ci riprovò alla Kelvin Hall di Glasgow, con diecimila tifosi a supportarlo, ma neanche questa volta riuscì a portare a casa la vittoria. Donaldson era campione del mondo, ma non era il più forte giocatore al mondo di snooker. Sarà questa la condanna che si porterà dietro per tutta la vita.
Negli anni seguenti raggiunse altre sette finali del campionato del mondo, tutte giocate contro Fred Davis. E quando Donaldson vinse ancora nel 1950 con il punteggio di 51-46, pochi attribuirono i meriti del successo allo scozzese. Per molti era stato Davis a perdere, perché non si era allenato sufficientemente prima dell’incontro. Neanche essere ufficialmente riconosciuto campione del mondo dette i giusti meriti ai suoi sforzi.
Ben presto lo snooker si ritrovò in grossi guai, visto che l’attenzione mediatica stava scemando ed il pubblico non era più attratto come una volta. Il dominio della famiglia Davis aveva stancato e sempre meno giocatori, viste anche la bassissime possbilità remunerative, decidevano di entrare nel circuito.
Nel 1954 Donaldson rilasciò un’intervista in cui affermava di non riuscire più ad essere nella forma ottimale per competere. Si era di fatti ritirato e aveva dato come motivazione il suo voler spendere più tempo in un piccolo appezzamento di terra che aveva comprato nel Buckingamshire. Lo snooker lo aveva illuso. Fama, successo e popolarità non erano mai realmente arrivati. Un carattere difficile e poco avvezzo alla mondanità non lo avevano aiutato.
Nel suo isolamento Donaldson compì un gesto-simbolo. Trasformò la stanza in cui si allenava in una mangiatoia per le sue mucche e distrusse il suo tavolo per ricavarne ardesia, che utilizzò per lastricare la stradina che conduceva al capanno.
Ironicamente, Walter Donaldson è morto nel 1973, quando lo snooker era in forte crescita ed espansione. Il suo vecchio rivale Fred Davis, grazie alla televisione a colori e alla popolarità del gioco, rinverdì la sua fama. Mentre Donaldson cadde ancora di più nel dimenticatoio. L’insulto finale alla memoria di Donaldson arrivò quando quasi tutti gli scozzesi quel 29 aprile del 1990 riconobbero in Hendry il loro primo campione.
Clive Everton descrisse così Donaldson: “Il suo atteggiamento inflessibile e il suo mento tipicamente scozzese, ben pronunciato, simbolizzarono il suo approccio al gioco e anche alla vita. Era letteralmente l’uomo severo per eccellenza e giocava a snooker bilia dopo bilia, senza concedere granché al pubblico.”
Nonostante fosse ben voluto dagli altri giocatori, ebbe fama di essere completamente privo di senso dello humour. Anche per questo, Donaldson era poco richiesto alle esibizioni ed era anche un pessimo perdente. Un aneddoto è esemplificativo. Dopo che il suo grande rivale Davis aveva vinto sei frame consecutivi per batterlo in un match a Newcastle, un amico, nel cercare di confortarlo, gli disse: “Walter, non so cosa dire.” “Dannazione, non dire niente allora!”, esplose Donaldson in risposta.
Analizzando i dati, sia considerando i risultati ottenuti, che la personalità mostrata, Donaldson è stato uno dei campioni più sottovalutati della storia dello snooker, un vero gigante dell’era pre-Crucible. Ridefinì gli standard del gioco dalla distanza e del gioco di difesa e fu l’unico ad interrompere il dominio della famiglia Davis sullo snooker. Grazie quasi esclusivamente alla sua feroce determinazione, riuscì a vincere il campionato del mondo per ben due volte.
È triste pensare che anche la sala a lui intitolata nella città nativa sia oggi chiusa. La federazione soltanto nel 2012 lo ha inserito nella Hall of Fame.
Walter Donaldson e i suoi trionfi meriterebbero più riconoscimenti, ma la storia ci insegna che spesso la dedizione estrema e un impegno fuori dal comune a volte non bastano per essere ricordati.