Il grande scrittore inglese Gordon Burn nel libro Pocket Money racconta la storia di Mark Thompson. Talento dallo snooker brillante nella Derby d’inizio anni ’80, il giovane Mark un giorno era un ragazzo con tutta la vita davanti, l’altro non c’era più. Quando lo snooker può essere questione di vita o di morte…
David Roe e Mark Thompson erano rivali ma anche buoni amici. Lo stile di David, senza fronzoli e molto solido, attraente ma non veloce, rifletteva in pieno l’influenza dei due giocatori che più ammirava, Steve Davis e Cliff Thorburn. Mark, partner d’allenamento usuale di David, era invece un allievo modello della scuola Alex Higgins&Jimmy White. A diciott’anni era campione nazionale Juniores britannico e un anno e mezzo dopo era avanti di due posizioni rispetto a David nella speciale classifica riservata ai dilettanti stilata da Snooker Scene.
David Roe e Mark Thompson spendevano la maggior parte delle loro giornate insieme, giocando a snooker al Cue Ball Club di Derby, di proprietà del manager che curava gli interessi di entrambi.
Come David, Mark Thompson aveva iniziato a giocare a snooker sin da bambino. A differenza di David, però, Mark, a detta di uno dei suoi amici, proveniva da “una delle famiglie che lottava per la sopravvivenza – era conosciuto in tutta Derby come un ragazzo che non aveva niente da perdere e ce la stava mettendo tutta per farsi un nome.” La vittoria del campionato Juniores britannico fu il suo passaporto per Junior Pot Black. Passare in televisione era visto come un segno di sicuro successo.
Nelle West Midland, Mark Thompson era considerato il nuovo Jimmy White. Un buon numero di imprenditori locali aveva espresso la volontà di sponsorizzarlo e secondo Dave Freeman, amico di Mark, almeno un’offerta sicura gli fu proposta. “Parlava spesso di una persona ben conosciuta ad Ashbourne che possedeva un pub molto alla moda, con wine bar e qualche tavolo da pool. Quest’uomo guidava una Jaguar XJ-S e Mark voleva davvero essere come lui. Lo snooker è in grado di cambiare la vita di una persona.”
Dave Freeman era fisicamente molto più grosso di Mark Thompson ed era anche più esperto, in generale. Dave faceva da autista a Mark e fu lui a mostrargli i piaceri della vita lontano dal tavolo. Fu in compagnia di Dave che Mark iniziò a frequentare il Pink Coconut, il Gran Casino e la vivace scena dello Slick Chick. Tutti questi posti si trovavano a un tiro di schioppo dal club di snooker Pyramid, situato in Colyear Street a Derby. Nella Ford Capri di Dave, Mark era solito viaggiare per arrivare a Londra e giocare fino a notte fonda per soldi a Tottenham e Leynostone.
Dave finiva il suo turno al cantiere di costruzione sito sull’autostrada M42 e alle 5 passava a prendere Mark a casa. I due insieme erano a Londra ben prima dell’orario di chiusura dei club. Mark giocava senza nessun problema per tutta la notte e spesso anche oltre. Dave racimolava qualche soldo scommettendo sui suoi match e poi se ne ritornava al cantiere senza che nessuno si accorgesse di nulla. “Era disinvolto”, dice Dave Freeman di Mark oggi. “Mark Thompson era libero e disinvolto.”
Un mercoledì di metà novembre del 1984. Dave ha appena accompagnato Mark a qualche miglio di distanza da Derby, a Chesterfield, per giocare un match di torneo locale, facilmente vinto. Pochi giorni prima Thompson aveva realizzato sei centoni in una singola sessione d’allenamento. Tra gli scalpi più gloriosi portati a casa c’era Willie Thorne.
Sulla via del ritorno si erano fermati ad un pub dove un gruppo stava suonando e poi Dave aveva lasciato Mark alla fermata dell’autobus a Derby. I due avevano appuntamento alle 10 del giorno seguente al Cue Ball.
La mattina successiva Jean, madre di Mark, lo aveva svegliato presto. Era il suo turno di sbrigare alcune faccende. Poco dopo Mark aveva preso la sua bici ed era andato al supermercato per comprare del cibo per animali. Era tornato a casa prima delle undici. Dopo essere ritornata a casa, Jean Thompson era andata in camera di Mark. Il materasso era a terra. Mark era steso su di esso ed era morto. Una busta di plastica in testa, una corda legata stretta al collo.
Qualche settimana dopo, il medico legale di Derby certificò il suicidio. Fu sconcertante, affermò, che una persona così popolare e ben voluta da tutti come Mark, con tanto ancora da vivere e nessun precedente di depressione, avesse compiuto un simile gesto. Aveva diciannove anni.
Quindici mesi dopo la morte di Mark Thompson, la famiglia e gli amici erano ancora sconcertati come il giorno stesso in cui tutto ciò era accaduto. Si pensò a diverse spiegazioni: Mark forse era arrabbiato perché non riusciva a guadagnare più soldi giocando a snooker (aveva vinto 2500 sterline complessivamente l’anno prima della sua morte), forse trovava frustrante il fatto di essere sconfitto da giocatori con molto meno talento di lui ma che avevano più esperienza e conoscenza del gioco, forse si era reso conto di stare per essere catapultato in un mondo nuovo di cui era spaventato oppure aveva sviluppato una nevrosi nei confronti della sua stecca.
“Uno psichiatra freudiano avrebbe diagnosticato senza dubbi un timore adolescenziale in ambito sessuale relativo all’ossessione verso un classico simbolo fallico”, scrisse Clive Everton su Snooker Scene in un articolo intitolato “Come la pressione uccide”. Ma nessuna di queste ipotesi era stata in grado di rendere meno pesanti le circostanze, ossia: un giorno Mark Thompson era vivo e apparentemente felice, l’altro era morto.
David Roe non aveva toccato la stecca per un tempo da lui considerato abissale, due settimane. “Ma con la testa non ci sono stato per due mesi. Giocavo da schifo. È il più grande mistero a cui non riuscirò mai a trovare una soluzione…”
Dave Freeman pensò che “era tutto una specie di scherzo” quando venne informato la prima volta. Quando si rese conto che non lo era, andò al Pink Coconut e si ubriacò come mai aveva fatto nella vita. “Non riesco a capacitarmi del fatto che non mi abbia parlato, se c’era sotto qualcosa di importante… C’era una gran legame tra noi. La testa mi scoppiava. Nel club c’erano due sale, una con musica funky e l’altra con musica lenta. Spostarsi continuamente dall’una all’altra ti faceva sentire strano. Una sensazione folle. Io e un altro amico di Mark ci siamo incontrati lì e abbiamo pianto insieme.”
Steve Davis e Willie Thorne erano in finale al Dulux British Open 1986. Era la rivincita del loro incontro del Coral Uk Championship di tre mesi prima.
David Roe era una dei tanti a Derby che avrebbe voluto assistere al match, ma non c’erano più biglietti disponibili. David prese invece in prestito l’auto del padre e andò fino a Huntingdon per giocare in un torneo.
La stessa domenica della finale, si disputava il campionato dilettanti del Derbyshire, giocato in una delle sale possedute dalla catena Breaks, situata in un quartiere diventato ormai alla moda non lontano dal centro della città.
Dave Freeman era uno degli iscritti. Ritrovatosi senza lavoro, aveva ammesso senza patemi che era stata la fidanzata a pagargli la quota d’iscrizione. Se fosse stato in grado di vincere il torneo, aveva detto, era sicuro che c’era qualcuno pronto a sponsorizzarlo. Era molto più difficile trovare uno sponsor nelle West Midlands rispetto a Londra e quindi la competizione era più accanita. Tutti i giocatori delle Midlands volevano vincere. Tra i partecipanti quella domenica c’era anche un omino un po’ curvo in pantaloni beige e camicia bianca aperta sotto un maglione abbinato. Geoff Thompson era il padre di Mark Thompson. Era lui che per primo aveva fatto conoscere lo snooker a Mark, al Derby Mechanics Institute, dove egli stesso aveva imparato a giocare da ragazzo. Geoff era stato l’allenatore di Mark fino a quando a tredici anni non aveva più avuto bisogno del suo supporto.
La versione dei fatti di Geoff dell’ultima notte di Mark differisce leggermente rispetto a quella raccontata da Dave Freeman. Invece di averlo lasciato alla fermata del bus, Geoff Thompson disse che entrambi lo avevano raggiunto al Pink Coconut ed erano rimasti a bere in sua compagnia fino alle due di notte.
Disse che Mark aveva preso l’abitudine di andare a letto tardi e di svegliarsi poco prima di pranzo.
Geoff Thompson non viveva più con la madre di Mark ormai da tempo. I due si erano separati un anno prima del suicidio di Mark, dopo essere stati sposati per vent’anni. Dave Freeman disse che Mark trovava imbarazzante il fatto di entrare al Pyramid Club e trovare suo padre insieme alla sua fidanzata. Ma nessuno affermò che era questo il motivo per cui alle dieci e mezza di un giovedì aveva deciso di soffocarsi con una busta di plastica.
Geoff Thompson non aveva altre risposte plausibili per capire cosa c’era dietro quel gesto. “Mark non soffriva affatto di nervosismo al tavolo. O era in giornata oppure no. Se era in giornata, nessuno era in grado di batterlo. Se non si sentiva apposto, si concedeva una settimana di pausa e se ne andava a pescare” disse a un reporter subito dopo i fatti. Ma adesso non era più sicuro delle capacità di suo figlio di convivere con la pressione. Ad esempio durante la sua apparizione a Junior Pot Black nel 1983. Mark non si sentiva a suo agio con il trucco che i costumisti gli avevano fatto indossare per la sua apparizione in tv per evitare la sudorazione. E si era sentito a pezzi quando non era riuscito a giocare bene durante la semifinale.
Il vincitore della semifinale avrebbe poi vinto il torneo. Geoff aveva visto già giocare il giovane John Parrot. “Avrei scommesso su Mark vincente senza dubbi. Ma Parrott era già nel giro giusto. Suo padre aveva un tavolo. C’era qualcuno che lo finanziava. Senza un aiuto è impossibile emergere.”
Geoff era stato eliminato dal campionato dilettanti del Derbyshire agli ottavi di finale. Oltre a giocare a snooker a un buon livello, lavora oggi come allenatore e arbitro. Era seduto su una sedia in vimini nell’area riservate alle famiglie del club, versandosi una tazza di tè, quando le porte si sono aperte e David Roe insieme a suo padre era entrato.
David si era qualificato per il circuito professionistico, che sarebbe iniziato a distanza di mesi. Era anche giunto nella fase finale della competizione a cui aveva preso parte a Huntingdon, ma i Roe sembravano riluttanti nel parlare dei successi di David davanti a Geoff Thompson, come se fosse un qualcosa di cattivo gusto.
“Li porti qui e vorrebbero che tu non ci fossi. Fanno finta di non conoscerti e non ti versano neanche una tazza di tè.” Geoff Thompson rispose al padre di David soltanto con un cenno affermativo della testa. C’era un velo di silenzio tra i due uomini e la musica pop in lontananza adesso sembrava essere a volume alto. Le loro facce erano riflesse debolmente sul pannello di vetro che separava la lounge dall’area di gioco: due padri che sembravano destinati a percorrere un cammino parallelo, seguendo i successi dei loro figli, i cui incontri adesso erano pieni di silenzi strani come questo.
Dave Freeman è stato eliminato ai quarti di finale. Il suo gioco non era naturale, no, di certo non era come quello di Mark. Ma gli piaceva competere davanti al pubblico. Non si sente la pressione quando si è affamati di successo. Gli piaceva l’aspetto “glamour” dello snooker.
Dave aveva registrato l’unica apparizione in tv di Mark e si era ritrovato spesso a guardare la videocassetta negli ultimi quindici mesi. L’aveva messa in pausa ed era rimasto lì a fissare lo schermo senza battere ciglia, cercando di capire cosa fosse successo. Perché? Che cosa lo aveva spinto a farlo?
“Mi piacerebbe che qualcuno mi dicesse: “Tu giochi proprio come lui. Gli assomigli anche nei piccoli dettagli”, disse Dave Freeman. Poi cadde il silenzio.