Pubblicato lo scorso maggio e già considerato uno dei migliori libri sportivi del 2023, Unbreakable racconta la storia di Ronnie O’Sullivan senza filtri. Proseguiamo con la seconda parte della traduzione di un capitolo speciale dedicato al rapporto tra il sette volte campione del mondo e l’allenamento. Un approfondimento affascinante sul modo di vedere le cose di Ronnie.

Ronnie O'Sullivan Unbreakable

Quando vuoi essere il migliore, gestire il tuo tempo è fondamentale. L’ottimizzazione è imprescindibile.

Devi essere sicuro di avere sensazioni positive quando ti riposi, devi essere certo di non esagerare. Il tempo è la cosa più importante che abbiamo, sia quando si gioca a snooker che quando si vuole far funzionare la propria vita. Per me è importante tenere un diario: appuntare tutte le sessioni di allenamento che faccio, scrivere come mi sento dopo ognuna di essa. Una semplice nota sul mio telefono in cui appunto i giorni in cui mi alleno e quanto tempo dedico allo snooker. Un’emoji mi aiuta a ricordarmi di come mi sono sentito. Una faccia sorridente per una giornata positiva, una con i denti all’infuori per una sessione frustrante. Mi aiuta a tenermi motivato e a fare del mio meglio.

Ho iniziato questa sessione d’allenamento quattro settimane fa. La prima sono venuto qui tre volte, allenandomi sempre tre ore. Negli altri giorni sono andato a correre, in palestra e ho seguito lezioni di pilates.

Ogni settimana cerco di fare di più. La seconda dieci, la terza dodici ore. Mi rendo conto che non riesco a superare il limite di quattro ore in una sessione d’allenamento. Mi inizio a stancare e perdo il mio gioco. Ma allo stesso tempo sono consapevole di dover costruire la mia tolleranza per adattarmi a tutte le situazioni.

Le note sul mio telefono mi aiutano a capire come dovermi adattare. Una settimana da quattordici ore, una da sedici. Se arrivo a venti ore sono sicuro di non poter giocare un torneo. Mi sento troppo stanco. Queste stesse ore le spendi per vincere una competizione, non per allenarti.

Cerco di essere sicuro dei dati che ho perché non mi fido di me stesso. Non posso fidarmi di me stesso. Non ne vedo il punto: mi faccio trascinare dalle emozioni e non riesco a valutare cosa succede in maniera obiettiva. Devo scrivere le cose e diventare scientifico: un diario per il sonno, uno per la corsa e un altro per lo snooker. Quando metto per iscritto il tutto, mi sento bene.

Forse è qualcosa che già fate. Se non è il caso, ve lo raccomando caldamente. Non prende molto tempo, è facile e gratuito. Cosa ti ha reso felice oggi? Cosa è andato bene e cosa vorresti cambiare?

Quando scrivo le mie note, tutto va bene. So di aver fatto tutto quello di cui ho bisogno. Adesso ho soltanto bisogno di affidarmi agli Dei dello Snooker e vedere cosa succede.

Nessuno mi ha insegnato a giocare quando ero bambino. Tutto era facile perché giocavo d’istinto. È stato bellissimo fin quando è durato, ma non ero consapevole di come il tutto funzionava. So soltanto che è successo. Ecco perché in passato, quando facevo fatica e sentivo di aver ritrovato la magia, posavo la stecca e andavo a casa. Ero troppo spaventato di rompere l’incantesimo.

Adesso invece continuo a giocare perché sono sicuro che ritroverò la magia anche il giorno successivo e, se ciò non dovesse succedere, sono in grado di accettarlo.

Ecco che mi rimetto ancora in posizione. Mi sento compatto nella mia posizione al tavolo. Il mio braccio non va affatto bene, ma poiché sono compatto, riesco a imprimere forza e allo stesso tempo mi sento come se avessi tutto il tempo del mondo. Se non mi sentissi compatto e non sentissi di aver tempo, forse riuscirei lo stesso a imbucare, ma non sentirei né soddisfazione né felicità. Non importerebbe.

I miei fianchi erano nella posizione giusta. Non mi importa di sbagliare l’imbucata, prendere i ganascini. I miei fianchi erano nella posizione giusta. Mi darei quasi un 8/10 per questo preciso aspetto.

Potrei star qui per ore. Questa per me è pura meditazione, la più bella e pura nel mio mondo. Ecco perché non mi posso arrendere. Non c’è niente che riesce a darmi la stessa sensazione.

A volte guardo i vecchi video dei miei match e trovo sempre cose che voglio migliorare. Li guardo e non mi riesco a capacitare di quanto lontana sia la mia mano dal corpo: è come guardare un’opera d’arte, un capolavoro, e rendersi conto di un’imperfezione.

Ma sono consapevole che non si può pensare sempre alla tecnica. Alla fine finirai sempre per perderti nella teoria.

Sono le sensazioni quelle che contano nelle partite importanti. Quanto velocemente posso allinearmi per imbucare questa bilia? Quanto sono comodo nel farlo? Quando mi sento in forma, trovo rapidamente la posizione e anche la mia mente inizia a pensare in modo diverso. Non puoi pensare: stecca in basso, fianchi qui, braccio in posizione sbagliata, mano più avanti, sto brandeggiando troppo…

Sul tavolo d’allenamento, ok, può andar bene. Lì fuori, sotto pressione, non deve succedere. Mi è successo troppe volte e onestamente è spaventoso. Il tuo mondo finisce per caderti addosso.

I fianchi sono nella posizione giusta. Bella imbucata. I fianchi stanno bene anche in questa. Un’altra imbucata.

A volte penso in notti quiete come questa: quando mi ritirerò, sarà ancora questa stanza, questo tavolo, tutto ciò di cui ho bisogno per calmarmi?

Questo mi preoccupa e mi dà ragioni per non ritirarmi. Mi motiva nel continuare a giocare e a godere il mio tempo. Ho visto Roger Federer giocare negli anni precedenti al ritiro. Era evidente che gli piacesse ancora il tennis, amava intrattenere il pubblico con colpi spettacolari. Il suo corpo arrivato a un certo punto però non gli permetteva più di farlo a quel livello. È questo quello che mi mette ansia.

Posso avere i miei momenti no, ma fino a quando mi sento motivato e so di poter esprimere il mio gioco, cerco di programmare il mio percorso per continuare a giocare sempre su questi livelli. Ho quarantasette anni e sul lungo termine mi renderò conto di ciò, quando sarò impegnato in esibizioni e non nelle finali dei tornei.

Posso convincere me stesso che è ok perdere. Quello che non posso tollerare è non giocare bene e perdere il pubblico che mi sostiene sempre. Quello che voglio è che mi vedano in azione e non pensino al giocatore che anni fa ha siglato un 147 in cinque minuti, ma al giocatore che realizza con continuità break da 80 e 90 e mette a segno colpi che poi vuoi descrivere al tuo migliore amico. È la stessa cosa dei Rolling Stones. Nessuno va a vedere un concerto per sentire i pezzi nuovi o una versione differente di un classico. Tutti vanno lì perché vogliono sentire Satisfaction o Symphathy for the Devil, proprio come la ascoltano a casa.

Non tutti ci riescono. Stephen Hendry era concentrato soltanto sul vincere. Quando non ci è più riuscito, il gioco non significava più nulla per lui. Anche Steve Davis pensava unicamente a vincere, ma ha poi scoperto di poter divertirsi anche soltanto giocando. Potrei immaginarlo oggi allenarsi come faccio io, colpendo qualche bilia, sentendosi bene e pensando: “Così va bene”. Negli ultimi tempi della sua carriera potevi percepire come se fosse in vacanza durante i tornei. Nessuna pressione, soltanto godersi il momento.

Ronnie O’Sullivan sull’allenarsi: il mio posto felice (pt.1)

È possibile acquistare “Ronnie O’Sullivan: Unbreakable” qui (versione originale in inglese, ancora non disponibile in italiano)

Picture credits: The Mirror

Sull'autore

Marco Staiano

Sogni, speranze e illusioni celati in ventidue bilie colorate.

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    […] Ronnie O’Sullivan sull’allenarsi: il mio posto felice (pt.2) […]

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