Cresciuti in due parti opposte dell’Irlanda del Nord, Dennis Taylor e Alex Higgins hanno percorso quasi in parallelo, su due binari opposti, carriera e vita. Taylor racconta nella sua autobiografia le due facce di uno dei campioni più amati e discussi del mondo dello snooker.

Ho sempre avuto una determinata filosofia di vita, secondo la quale se non sai dire qualcosa di positivo riguardo una persona, meglio non dire nulla. Non c’è nessuno sul circuito con cui io non sia riuscito ad andare d’accordo, incluso Alex Higgins, nonostante possa essere un po’ più complesso rispetto a tutti gli altri. Ho sempre ammirato Alex come giocatore e sono il primo ad affermare che egli abbia fatto molto per lo snooker. Non lo critico mai soltanto per il gusto di criticare e allo stesso tempo non gli do ragione ogni volta a priori. Ho le mie opinioni per quanto riguarda ogni situazione e mi piace pensare che egli nutra rispetto nei miei confronti.

Posso raccontare due storie che mostrano due ben separati aspetti del suo carattere. Una volta io e Higgins giocammo per cinque giorni delle esibizioni nell’area di Exter. Avevo prenotato una stanza in un albergo non molto grande, pensando dunque di poter trascorrere il mio tempo in santa pace. Ma poi mi resi conto che Alex aveva fatto la stessa scelta per il suo pernottamento. Il posto era così tranquillo che nessuno in pratica era abituato a ospiti che stessero svegli fino a tardi. Ma si scoprì che il portiere era un appassionato di snooker e un fan sfegatato di Alex. Era disposto a fare qualsiasi cosa per noi. Alex ogni sera andava in cucina con lui e si faceva preparare dei sandwich con una quantità spropositata di formaggio all’interno. Quando usciva fuori dalla cucina, sembrava che su ogni fetta di pane ci fosse una tonnellata di formaggio!

Alex aveva ammaliato così tanto questo tizio che era in grado di fargli credere qualsiasi cosa. Gli fece credere che era in grado di ipnotizzare chiunque utilizzando il medaglione che portava al collo. Il pover’uomo non ebbe più il coraggio di guardare dritto negli occhi Alex dopo ciò.

Una sera Alex invitò una delle cameriere a bere un cocktail. La ragazza era spagnola ma parlava in inglese in maniera impeccabile e il portiere non conosceva la sua vera nazionalità. Mentre quest’ultimo era in cucina a preparare i soliti sandwich, Alex disse alla ragazza che avrebbe fatto finta di ipnotizzarla. Quando l’uomo ritornò, vide Alex che faceva oscillare il medaglione. Higgins poi disse le seguenti parole: “Conterò fino a tre e poi quando schioccherò le dita inizierai a parlare in spagnolo.” Contò fino a tre, schioccò le dita e poi la ragazza iniziò a chiacchierare in perfetto spagnolo.

In quel momento sembrava che gli occhi uscissero dalle orbite del portiere. Alex si girò e gli disse: “È il tuo turno, vorresti imparare a parlare in cinese?”. L’uomo scappò via impaurito.

A questo punto egli aveva iniziato a credere a qualsiasi cosa Higgins gli dicesse e Alex sfruttò in pieno la possibilità per offrirci un vero e proprio spettacolo a cui assistere. Gli disse che era uno stuntman e che una volta si era lanciato dalle cascate del Niagara in una botte. L’uomo credette anche a questa.

Alex poi fece un ordine gigantesco di cocktail per una festa inesistente e quando il portiere gli fece notare che il rumore avrebbe potuto disturbare gli altri ospiti, Alex gli rivolse uno sguardo serio e poi disse: “Non ti preoccupare, ho un mio amico che è proprietario di un negozio di articoli elettronici. Verrà qui e installerà dei sintetizzatori su ogni parete e sul soffitto in modo da non far sentire all’esterno alcun rumore. Nessuno sentirà la musica.” L’uomo tirò un sospiro di sollievo ed era visibilmente soddisfatto mentre noi non riuscivamo a smettere di ridere. Andò avanti così in pratica ogni notte.

Poi ovviamente c’è l’altro lato di Alex, quello che io chiamo “la sindrome McEnroe”. In prima persona mi sono ritrovato a doverlo fronteggiare durante la finale del Tolly Cobbold Classic a Ipswich nel 1980. Ero in vantaggio 3-1 e Higgins si ritrovava al tavolo, sotto snooker. Alex aveva giocato di parabola e aveva colpito simultaneamente una rossa e la nera. Questa situazione è detta “split ball” ed è considerata da fallo. L’arbitro infatti mi aveva assegnato come da regolamento sette punti. Non aveva nulla a che fare con me; non ero neanche vicino al tavolo.

Alex semplicemente non riusciva ad accettare la decisione e iniziò a discutere in maniera veemente con l’arbitro, affermando di avere prima toccato la rossa. Non c’era però alcun modo per poterlo provare. La mia opinione in merito è che gli arbitri servono proprio a questo, a prendere decisioni complesse in situazioni particolari. Non stava a me ribaltare la decisione dell’arbitro soltanto perché Alex pensava di aver ragione. L’arbitro tra l’altro era in una posizione ideale, io no.

Alla fine Alex dovette smettere di discutere e ritornare a giocare. Ma a questo punto la situazione era degenerata perché l’arbitro aveva assegnato una free ball visto che non riuscivo a vedere la rossa su entrambe le finezze dopo il fallo. Alex perse completamente le staffe. Semplicemente si rifiutava di giocare. Si era seduto sulla sua sedia e chiedeva al pubblico di valutare se fosse davvero una free ball o no. È una cosa che non ha senso. Non sono mai stato al gioco di Alex, nonostante abbia provato a provocarmi in ogni possibile maniera. Nel mentre le telecamere di Anglia Television stavano analizzando l’accaduto, cosa che Alex sapeva benissimo.

Poi qualche minuto dopo, mentre stava camminando attorno al tavolo prima di un colpo, mormorò in maniera abbastanza comprensibile: “Dannato imbroglione.” Queste due semplici parole mi fecero perdere la testa. Non riuscì più a imbucare una bilia. Persi 5-4.

Ci sono persone in grado di dare il meglio di sé in queste situazioni e di solito sotto tensione sono in grado di sprigionare tutto il proprio potenziale. Io non sono una di quelle. Alex invece ne ha bisogno, per la stessa ragione di McEnroe: è un’utile arma psicologica quando le bilie non girano a suo favore sul tavolo. È la stessa cosa di un giocatore di scacchi che inizia a ticchettare con il dito sulla scacchiera mentre perde. Visto che le cose vanno male sul campo da gioco, prova a destabilizzare il lato umano del suo avversario.

Non avrei avuto alcun problema a dimenticare quest’incidente se Alex non lo avesse riportato in auge nel suo libro “Snooker Scrapbook”, tra l’altro attaccandomi direttamente. “Gli avversari che preferiscono stare sulle proprie quando gli arbitri mi prendono in giro con decisioni al limite dell’inguardabile devono essere davvero disperati, se hanno bisogno di ciò per potermi battere.” Poi cita il replay fornito da Anglia TV a supporto del fatto che non avesse commesso fallo sulla nera, ma ciò non riuscì a dimostrare nulla in realtà.

Fu invece molto ironico, soprattutto alla luce di tutta la questione nata dall’episodio, vedere Alex starsene seduto in silenzio sulla sua sedia durante la semifinale dello UK Coral nel 1984 quando Cliff Thorburn fu penalizzato per non aver nominato un colore. In pratica tutti avevano sentito Cliff nominare la verde in tv. Non saprei cosa avrei fatto in quella specifica situazione onestamente. Se avessi sentito Cliff nominare la verde, mi sarei sentito in causa e lo avrei riferito. Se invece ciò non fosse accaduto, avrei lasciato la decisione all’arbitro. Non sto dicendo che Alex ha sbagliato nel restare in silenzio perché può essere seriamente che non avesse sentito. Ma nel lasciare la decisione all’arbitro stava facendo lo stesso per cui mi aveva accusato.

Alex vuole sempre aver ragione, in ogni situazione. E buona fortuna a lui, perché se vuole aver ragione è sempre soltanto perché vuole vincere più di ogni altra cosa. Ma credo ci sia già abbastanza tensione nel gioco anche senza queste teatrali dimostrazioni di frustrazione. Se vengo sconfitto perché non sono in grado di tenere a bada la pressione generata dalle capacità del mio avversario, lo accetto. Ma se invece perdo perché il mio avversario non è in grado di tenere a bada il suo brutto carattere in maniera infantile, è un altro paio di maniche. I professionisti non dovrebbero fronteggiare simili situazioni.

Alex Higgins è un concentrato di contraddizioni e sono quasi sicuro che egli lo sappia. Altrimenti per quale motivo avrebbe dato al mio amico Terry Griffiths una banconota da 100 sterline con l’indicazione di darla a me dopo i fatti di Ipswich? Ovviamente, gli ho risposto dicendo che sapeva bene dove poteva mettersi i suoi soldi…

Pensandoci su, questa prontezza in Alex nel chiedere scusa, anche quando è troppo tardi, fa pensare che stia provando a farsi perdonare o è quantomeno un segnale del fatto che ci stia provando, con difficoltà e a volte senza molto successo. Non è di certo facile salvarsi da un istintivo bisogno di autodistruzione, proprio della sua natura. Spero vivamente ci riesca, per il bene di noi tutti ma specialmente di sé stesso.

Il peggior errore di Alex non sta nel come tratta gli altri giocatori, ma nel come tratta i tifosi. I giocatori sono in grado di difendersi da soli, e se non ci riescono, c’è una federazione in grado di aiutarli. Ma i tifosi spesso sono ragazzini vulnerabili. Ho visto in prima persona Alex trattarli male, persino usando la violenza, soltanto perché qualcuno aveva chiesto un autografo in un momento a lui sconveniente. Queste sono di solito le persone che pagano il suo cibo e i suoi cocktail. Il momento in cui bisogna preoccuparsi dei cacciatori d’autografi è quando scompaiono. Alex è il giocatore che riceve più posta dai suoi tifosi e dubito seriamente che si prenda la briga di rispondere. È risaputo che abbia buttato via alcune lettere senza neanche aprirle.

Ho sempre pensato che la miglior risposta da dare ad Alex è sul tavolo da snooker e sono fiero di averlo fatto nel 1980, quando l’ho sconfitto per il titolo di campione d’Irlanda alla Ulster Hall di Belfast con il punteggio di 21-15. Ammise dopo la sconfitta che ciò “lo aveva fatto star male.”

Sull'autore

Marco Staiano

Sogni, speranze e illusioni celati in ventidue bilie colorate.

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