Joe O’Boye per molti è stato uno dei più grandi talenti inespressi della storia dello snooker. Genio e sregolatezza, famoso per essere considerato uno dei più famosi “bad boys” degli anni ’80. In queste righe dello scrittore Gordon Burn si possono capire alcuni retroscena sulla sua carriera,compreso un manager alquanto discutibile….
Manca un mese e mezzo al Coral Uk Championship, ma le qualificazioni sono già iniziate. Joe O’Boye è stato fortunato. Ha pescato un onesto mestierante, numero 94 al mondo. Lo affronterà al Willie Thorne Snooker Centre di Leicester. Un club a lui già ben noto visto che ne è stato espulso a vita soltanto qualche mese fa.
O’Boye ha vinto il campionato del mondo dilettanti nel 1980 e poi si è visto rifiutata per ben tre volte la licenza per diventare professionista. Quando sembrava che non ci fosse una possibilità, l’ultimo verdetto negativo è stato sovvertito alla fine dell’anno e O’Boye si appresta dunque a cominciare la sua prima stagione sul circuito professionistico.
La reputazione da bad boy è stata affibbiata a O’Boye nell’anno in cui divenne campione tra i dilettanti in Inghilterra, quando accompagnò Jimmy White in Tasmania per giocare la finale del campionato del mondo di categoria. In una bisboccia sfrenata divenuta già parte del folklore post-Higgins, White e O’Boye hanno fatto perdere le proprie tracce appena giunti ad Hobart, spendendo tutti i soldi che avevano a disposizione per il soggiorno alle corse, per poi presentarsi ancora ubriachi in albergo ed essere minacciati di espulsione.
La differenza tra i due sta però nel fatto che White è riuscito ad aggiudicarsi il titolo in Tasmania, diventando il più giovane di sempre a soli 18 anni, e a due anni di distanza, si affermerà come il più giovane di sempre ad aver raggiunto le semifinali al Crucible. Il problema di O’Boye sta tutto in una certa propensione al bere. Jimmy White ama la vodka, questa non è certo una rivelazione. Però Jimmy sa quando fermarsi, O’Boye no. Questo è un problema abbastanza importante in una professione in cui gli alcolici, gratuiti e offerti con piacere degli sponsor, sgorgano come acqua dal rubinetto.
Joe soffre di un vero e proprio cambio di personalità quando inizia a bere. Secondo Steve Davis, O’Boye era una delle tre persone che diventava completamente un’altra quando iniziava a bere (gli altri due erano lo scrittore del Sun Alisdair Ross e “ The People’s Champion” Alex Higgins). Barry Hearn è stato ancora più brutalmente franco: un trapianto di cervello è l’unica soluzione che permetterebbe ad O’Boye di cambiare.
Mentre attende l’inizio del suo incontro, O’Boye se ne sta in piedi vicino ad una foto di Willie Thorne vicino al bar, sorseggiando mezza pinta di lager. Ha venticinque anni, alto, biondo, fragile, con una faccia che spicca nell’oscurità per quel fenomeno chiamato “pallore da nightclub”. In comune con tutti gli altri “cattivi ragazzi” del circuito, la sua espressione naturale passa quasi casualmente dall’arroganza alla diffidenza, e in molti casi suggerisce l’innocenza di un piromane. Anche senza il bisogno di un drink, O’Boye può sembrare disinvolto; la sua poca dimestichezza con le normali interazioni sociali trova espressione in una camminata rapida ma allo stesso tempo goffa.
Nonostante il forte peso da sopportare a livello mentale – soprattutto la morte del fratello più piccolo per una malattia incurabile – Joe O’Boye era considerato ancora come uno dei più promettenti giocatori passati professionisti nella stagione 1986-1987.
“Non sono così eccitato dal pensiero di entrare tra i primi 16 al mondo. È la top-3 quella che voglio.” I giornali hanno riportato questa citazione di O’Boye. Di copie se ne sono vendute, ma in realtà questo non è il tipo di cose che Joe O’Boye pensa e dice.
Finalmente un manager si è fatto avanti, uno di quelli tosti. Forse non si parlerà più di talento sprecato. In tanti ci hanno provato in passato, anche l’ex-portiere dell’Inghilterra Gordon Banks aveva avuto la sua occasione, senza alcun successo. A gestire il tutto oggi c’è un uomo che si è presentato come “Mike il Duca”, ma che nei centri scommesse di Londra era conosciuto con i soprannomi di “Motor-mouth” (“Il Chiacchierone”) e “Mad Mike” (“Mike il Pazzo”).
Il padre di Mike il Duca aveva dovuto piazzare un piccolo annuncio su “The Sporting Life”, il giornale preferito dai maniaci delle corse di cavalli, per comunicare al figlio in maniera efficace il fatto che sua madre stesse per morire. Era l’unico modo per mettersi in contatto con lui. “Il Duca” – Bebbery è il suo vero cognome – è il tipo di persona che non sta mai ferma neanche per un secondo. Il Life è la sua bibbia, la cabina telefonica il suo ufficio e il posto in cui ha dormito la sera precedente casa sua.
“Il Duca è un’ottimo stratega”, ecco cosa afferma Joe O’Boye quando gli si chiede del perché lo abbia scelto. Peccato che le strategie del Duca più di una volta lo abbiano messo nei guai con la polizia. Una volta in un parcheggio vicino Piccadilly Circus aveva allestito abusivamente una “scuola per imparare i segreti delle carte”. Lo aveva fatto per guadagnare qualche soldo da spendere alle corse dei cani a Walthamstow. Adesso aveva invece registrato una società, la ACG, che sta per “Accountability, Creativity, Graft”, il cui interesse principale dovrebbe essere lo snooker.
“Ho appena ingaggiato una star”, questo era quello che diceva a tutti il Duca nelle prime settimane della stagione, in modo da far aumentare l’interesse in attesa dell’arrivo dell’agognata busta-paga. C’è un uomo a Leicester, un americano, alla ricerca di giocatori spettacolari – esatto spettacolari, non i Davis o i Thorburn; non era interessato in quel tipo di giocatore. Il Duca prova a fare colpo su di lui, O’Boye nel mentre scompare al piano superiore, pronto per iniziare il suo match.
L’irlandese a quanto pare non è stato il primo investimento di Mike il Duca nello snooker. Prima di lui c’è stato Bob Harris. “È stato professionista per tre, quattro anni. Tutto quello di cui aveva bisogno era di una vittoria su un grande giocatore. E alla fine chi va ad affrontare se non Patsy Fagan? Se avesse vinto quell’incontro avevo già pronto un contratto con una casa d’abbigliamento. Ma Bob Harris,” dice il Duca, “Bob Harris, amico, quello sì che non ci sta con la testa.”
Qualche settimana prima, Joe O’Boye ha vinto tre match di qualificazione per raggiungere le fasi finali del Rothmans Grand Prix, il secondo torneo della stagione. Adesso, mentre si aggira con gli usuali passi svelti attorno al tavolo nella grande stanza, illuminata soltanto dalle luci del biliardo, sono passati soltanto dodici giorni dalla sua prima apparizione televisiva. E chi è stato il suo avversario se non Jimmy White?
Quando O’Boye ha giocato contro White alla Hexagon Arena di Reading, in diretta sulla BBC, Mike il Duca aveva organizzato un mini-bus che partiva da un wine bar di Chalk Wine, Londra, per portare all’incontro diversi sostenitori del suo protetto. Erano tutti vestiti con lo stesso stile del loro beniamino – calzini di spugna, pantaloni Farah, maglione griffato “Next” e orecchino d’oro. Il bus in cui viaggiavano era diventato come una nuvola di marijuana ben prima di arrivare nel West End.
L’efficienza di Mike il Duca però, purtroppo per Joe, si ferma qui. Tre ore prima dell’inizio del match, O’Boye stava ancora aspettando nella hall dell’Holiday Inn di Bristol, in attesa di una macchina e di qualcuno che pagasse l’autista, cosa che il suo manager gli aveva ripetutamente promesso. Alla fine Joe ha dovuto affrettarsi per arrivare alla stazione ed è giunto alla Hexagon Arena soltanto cinque minuti prima dell’inizio della partita e senza il suo completo. “Come stai dolcezza?” dice Jimmy White a Joe O’Boye, che quasi non ha più fiato. Mancano soltanto pochi secondi prima del loro ingresso in sala.
Nonostante tutto, Joe comincia bene. Sotto di 37 punti, realizza una bellissima serie da 49, senza mostrare alcun nervosismo. È stata una partenza così spettacolare che Tibbles non riusciva a starsene seduto al suo posto. Se ne stava in piedi con una pinta in mano nei corridoi, gridando “Dai Joe!”. Quel primo frame Joe lo ha poi perso, ma si è subito rifatto vincendo il secondo con una ripulitura da 60.
“Guarda la sua faccia. È fottutamente concentrato.” Tibbles urla perché O’Boye è andato avanti 4-2 con un break da 95. “È semplicemente troppo forte, mi fa venir voglia di non prendere più una stecca in mano in vita mia.” Tibbles è il compagno di allenamento di Joe al King’s Cross Snooker Centre, dove è diventato ormai un personaggio leggendario. Tibbles non vedeva l’ora che Joe riuscisse a farcela al suo primo incontro televisivo. “Non si cacherà sotto. Lui ha mentalità a pacchi. Ce la farà, non ho dubbi.”
Ma poi, all’improvviso, tutto sembra crollare. Con un solo frame da vincere per aggiudicarsi il match e causare una grande sorpresa ad appena il secondo torneo in carriera, Joe si inceppa. “È matto”, fu l’opinione unanime degli altri giocatori presenti all’Hexagon. Qualche problema a livello mentale. Il buon vecchio cervello.
Jimmy White vinse 5-4 con un break da 78 nel frame decisivo. Ma nel post-gara ebbe soltanto parole di lode per il suo vecchio amico di bevute. “Se ne avrà la possibilità, riuscirà a farcela.”
“Certo Joe che mi faccio una canna con te”, dirà Jimmy all’amico più tardi nella hall del Ramada Inn. Ma ben conscio dal non dover neanche avvicinarsi alla polvere bianca, dopo un po’ Jimmy scompare nel nulla. Il Duca, nel mentre, si è perso tutto il drama perché è finito in una situazione abbastanza particolare. Ann Yates, che tiene a bada con occhio discreto ma vorace la sala stampa per la WPBSA, ha intercettato un messaggio in codice per il Duca – qualcosa a riguardo di “coniglietti pelosi” dal valore di 2000£.
Yates ha deciso di non tollerare questa cosa e il Duca ha iniziato sotto la luce del sole a chiamarla con tutti i possibili nomi offensivi che vi vengono in mente. Subito dopo è intervenuta la sicurezza e Mike è stato sbattuto fuori. Il direttore del torneo lo ha espulso, stracciandogli il pass d’accesso. “Sto dicendo che sta tra qualche ora finirò sotto a un treno, non sarà un incidente.” Continuava a ripeterlo una settimana dopo, quando si era dovuto registrare in albergo con un nome falso.
(Pictures credits, Elliot West, Twitter)